Responsabilità professionale. La copertura assicurativa prevista è a tenuta? Un suggerimento pratico

26 NOV – Gentile Direttore,
Torniamo ancora sul punto dell’assicurazione nel ddl Gelli. Efficace averla prevista e in forma obbligatoria. A nostro avviso si presentano però criticità sulle quali occorrerebbe intervenire per meglio garantire la tenuta del sistema previsto.
Vediamo quali. Il ddl Gelli si è ispirato al modello dell’altro grande rischio sociale assicurato: la r. c. auto. Assicurazione obbligatoria per tutti, indistintamente; sia strutture sanitarie, che medici liberi professionisti (art. 8); azione diretta del paziente danneggiato verso la compagnia assicuratrice del sanitario (art 8 bis); fondo di garanzia Consap per danni eccedenti i massimali assicurati, oppure coperti da compagnie insolventi (art.9). Fin qui le analogie (obbligo assicurativo per tutti, azione diretta del danneggiato verso l’assicurazione, fondo di garanzia per i rischi scoperti).

La differenza principale, non trascurabile, con il sistema della r. c. auto è che la medical malpractice non ha un mercato adeguato dell’offerta, in quanto è disertata dalle compagnie majors. E ciò vale sia per le compagnie nazionali, sia per le straniere. Ciò rende difficoltoso per questo ramo assicurativo assorbire la domanda di copertura. Con l’effetto che larga parte del rischio sanitario oggi non è coperto da assicurazione. O per la c.d. auto-assicurazione degli enti sanitari, oppure per le franchigie esorbitanti applicate nelle polizze. Infatti, non casualmente il ddl non prevede l’obbligo di contrarre a carico delle compagnie assicuratrici.

Facciamo un inciso tecnico, ma semplice. Un ramo assicurativo sta in piedi se i premi raccolti con le polizze sono in equilibrio con i risarcimenti pagati per effetto dei sinistri, al netto dei costi di gestione. Sempre per capirci, il ramo medical malpractice (rilevazioni annuali di ANIA “l’assicurazione italiana in cifre”, disponibile sul loro sito) indica – come ordine di grandezza – una raccolta annua di premi di mezzo miliardo di euro, a fronte di una riserva sinistri di circa un miliardo e mezzo.

Perciò le compagnie più affermate disertano il ramo. E le compagnie che si avventurano fanno pagare ai professionisti (che riescono a valutare più efficacemente) premi elevati, oppure assicurano le strutture sanitarie con franchigie (ossia lasciando in carico all’assicurato) rischi fino a 250/500 mila euro e anche oltre il milione. Soglie entro le quali ricade la stragrande maggioranza dei sinistri dell’ente. Si può considerare “assicurata” una sanità coperta in questi termini, ancorché obbligata?

Allora, per ottenere un sistema di responsabilità sanitaria assicurato, basta disporre l’obbligo di assicurarsi a carico di tutto il settore? Anche se non c’è una congrua offerta di compagnie di massima affidabilità, se i premi non vengono tenuti sotto adeguata osservazione, così come i sinistri? A che serve propugnare una sanità assicurata, se la sussistenza di risposte tecniche non viene preventivamente accertata?

Su queste basi e con tabelle risarcitorie ancora non adeguate, che ricomprendono il danno morale accanto al danno biologico (vedi ultima audizione ANIA in Parlamento dell’11 novembre), temiamo non ci sia spazio per far tornare le compagnie ad assicurare la medical malpractice.  Peraltro, vista la quota assai minoritaria di rischio sanitario assicurata da compagnie nazionali, sarebbe opportuno disporre di dati più esaurienti per tracciare la tenuta del sistema.

Il legislatore dovrebbe ottenerli dall’autorità di vigilanza del settore (Ivass), da quella del mercato (Antitrust) e dall’ente di coordinamento operativo tra le sanità regionali (Agenas) al fine di conoscere in maniera più esauriente anche i dati delle compagnie straniere che operano nel paese. Parte dei dati potrebbero pure essere raccolti dalle associazioni dei broker, la cui rappresentanza preponderante è fatta da compagnie internazionali che intermediano le prevalenti polizze estere. Oggi, da quanto risulta in questi ambienti, i broker internazionali presenti nel nostro paese sono piuttosto cauti nel diffondere, già alla associazione nazionale del loro settore, i dati degli andamenti del rischio sanità.

In questo quadro, dunque, è improbabile ottenere una responsabilità sanitaria davvero assicurata, indipendentemente dall’obbligo “per decreto”.
A nostro avviso, una misura da adottare per avvicinare l’obiettivo è quella di accrescere il ruolo di Consap rispetto all’impianto già delineato nel ddl Gelli. La proposta in sé non dovrebbe risultare stravolgente, visto che già la “Balduzzi” ne ha individuato compiti importanti sulla medical malpractice.

In breve, Consap potrebbe fungere da riassicuratore del sistema medical malpractice. La variante rispetto all’impianto delineato dal ddl Gelli sta nel disporne un ruolo centrale, invece che residuale. Certo, con una corrispondente, più cospicua dotazione rispetto ai possibili stanziamenti già immaginati.
Del resto la tecnica assicurativa prevede che, qualora il mercato da solo non sia in grado di assorbire un rischio socialmente “sensitive”, intervenga la fiscalità per il saldo della differenza rispetto alla raccolta del mercato.

Consap ha già studiato in questi anni tali questioni, sia della medical malpractice che della riassicurazione sui grandi rischi (catastrofi naturali) . E poi non necessariamente questo compito aggiuntivo dovrebbe tradursi in un maggiore onere in prospettiva per l’erario. C’è già il precedente di un’altra assicuratrice pubblica, come Sace, che prospera assicurando un altro rischio cruciale per il paese, come è quello dell’esportazione.

Allora si può pensare che, oculatamente gestito, anche il fondo di dotazione del rischio sanitario presso Consap si riveli un affare per il bilancio pubblico, oltre a fare da leva alla funzionalità della sanità. A fronte di uno stanziamento un po’ più adeguato, infatti:
– il sistema sanitario recupererebbe veramente buona parte degli sprechi della medicina difensiva;
– si ridurrebbero in modo decisivo le voci dei bilanci regionali relative alla c.d. autoassicurazioni;
– il bilancio pubblico infine avrebbe finalmente una mappatura certificata dei sinistri e dell’esposizione debitoria, attraverso la ricognizione effettuata dal meccanismo della riassicurazione.

Tiziana Frittelli 
Vice-Presidente Federsanità, Anci

Alberto Tita
Esperto in responsabilità sanitaria, studio Lexellent, Milano

26 novembre 2015
© Riproduzione riservata
(Fonte: QuotidianoSanità.it –
http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=33861)

 


 

Employee benefits, cosa sono?

Gli employee benefits (benefici per i dipendenti) sono veri e propri incentivi, spesso di natura assicurativa, che hanno il duplice vantaggio di essere fortemente considerati dai collaboratori e fiscalmente interessanti per le aziende.
Employee benefits, cosa sono

Provate a chiedere ad un vostro dipendente se preferisce ricevere 100 euro in più in busta paga, oppure ricevere un benefit di analogo valore.

Probabilmente sceglierà di ricevere 100 euro in più in busta paga, ma così facendo quasi la metà se ne andranno fra ritenute e imposte varie, ed anche al datore di lavoro non costeranno 100, ma 130 euro. Quindi a fronte di 130 euro di costi vivi, il lavoratore ne gode 60.

C’è una bella differenza fra il potere d’acquisto dato al lavoratore con un aumento in busta paga, che con quello che deriva dal poter godere dei 100 euro sotto forma di employee benefits.

Cosa sono gli employee benefits?

Gli employee benefits sono un insieme di coperture di natura assicurativa, quali:

  • assicurazione sulla vita;
  • sull’invalidità;
  • sugli infortuni;
  • per il rimborso delle spese sanitarie;
  • previdenziali.

Queste coperture assicurative così erogate formano un vero e proprio welfare aziendale, che sicuramente assolve l’importante funzione di motivare e fidelizzare al meglio le risorse umane dell’azienda. Ad esempio se l’azienda è in grado di assicurare al lavoratore piani di assistenza sanitaria estesi all’intero nucleo familiare, questo benefit sarà molto apprezzato dal collaboratore.

Oggi in Italia viviamo un periodo di crisi acuta e anche per questo sono molto apprezzati piani di welfare aziendale attuabili attraverso gli employee benefits. Se questi benefits vengono concepiti come programmi dedicati ed esclusivi, possono essere per i dipendenti più allettanti di una migliore offerta economica.

Per un lavoratore trentenne, ad esempio, potrebbe essere molto importante garantire un capitale elevato ai familiari in caso di decesso, mentre per un lavoratore col doppio degli anni sarà molto importante un buon piano sanitario esteso alle gravi invalidità da malattia (La copertura Long Term Care).

Per dovere di cronaca va detto che oggi in Italia molti CCNL disciplinano una serie di employee benefits obbligatori, ma si tratta di figure prevalentemente dirigenziali nell’ambito del commercio e dell’industria.

Va anche detto che in Italia si è accumulato un forte ritardo rispetto ad altri paesi – USA e Regno Unito su tutti – a causa della generosità del welfare pubblico.

Inoltre le piccole dimensioni del 90% delle aziende italiane non hanno permesso di sviluppare le necessarie competenze manageriali ed il sistema legislativo fino alla fine degli anni novanta non ne ha di certo incentivato lo sviluppo.

Vi terremo aggiornati sull’argomento.

( | Roberto Grandi in Assicurazione Imprese)

 


 

Proteggi la tua voglia di crescere

Proteggi la tua voglia di crescere – La nova campagna di promozione sociale di ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici) per l’anno 2017.

Questo spot ANIA è possibile vederlo anche sulle reti nazionali, RAI e Mediaset.

E’ un bellissimo messaggio che percorre la nostra vita a ritroso ed evidenzia le mille ragioni che esistono in una vita intera, per pensare di proteggere quella stessa vita.

Si parte dal desiderio di proteggere il basilico sul balcone (come dire, proteggere la propria abitazione ed assicurarsi una pensione serena).

Si passa attraverso le problematiche di tutti i giorni nella vita quotidiana, dove è importante proteggersi per prevenire e comunque risolvere tutta quella serie di imprevisti che ci capitano nel corso degli anni, quando diventiamo grandi e prendiamo noi le redini della famiglia.

Si arriva al pensiero per i nostri figli. Si pensa a proteggere le loro corse a perdifiato e la loro voglia di sapere. E’ quello il momento in cui inizia a diventare importante proteggere il presente dei nostri figli, la loro salute, già pensando al loro futuro, con dei piani di accumulo capitale (PAC) che garantiscano la possibilità di proseguire il percorso di studi, senza temere alcun imprevisto della vita.

La protezione comincia quindi da noi, ma prosegue con i nostri figli e così, fino alla nostra serena pensione.